venerdì 10 maggio 2019

Dalla Superstizione alla Fede Scientifica Posted on 10/05/2019 Rate This gasdotto La nuova “Marcia per la Scienza” rivela la regressione sociale avanzata del tardo capitalismo Di Tomasz Konicz. Originale pubblicato a maggio 2017 su obeco online con il titolo Da superstição à crença científica. Traduzione di Enrico Sanna. “Il sapere in quanto potere non conosce limiti, che si tratti della schiavitù dell’uomo o di compiacere i signori del mondo.” ~ Horkheimer-Adorno, Dialettica dell’illuminismo Alla fine di aprile c’è stata un’ondata di proteste da parte della comunità scientifica internazionale diretta principalmente contro l’atteggiamento antiscientifico del presidente degli Stati Uniti Donald Trump (Science March). Gli scienziati si trovano ad affrontare una crescente ostilità verso la scienza. Soprattutto in relazione al consenso scientifico sui cambiamenti climatici, principale oggetto dell’attacco da parte dei recenti movimenti populisti di destra. Ma si sa che le proteste sono tarate da preconcetti, e pertanto si tralascia qualunque riflessione critica sulla scienza. La critica relativa alla ricerca e l’insegnamento riguardava unicamente le condizioni di lavoro della comunità scientifica, mentre le contraddizioni della funzione sociale della scienza nell’ambito del capitalismo erano quasi interamente ignorate. La nuova “Marcia per la Scienza” rientra così in quella nozione acritica di scienza che ha avuto il suo momento di popolarità nel diciannovesimo secolo. Neanche i classici della critica della scienza sembrano aver intaccato le certezze della comunità scientifica. E infatti il mondo può apparire meravigliosamente semplice, purché si creda abbastanza nella scienza. Da un lato ci sono scienziati illuminati che, sotto forma di comunità scientifica mondiale, sono disposti a compromettersi con la ricerca oggettiva e l’insegnamento. Dall’altro lato ci sono le oscure forze irrazionali della stupidità, la superstizione e gli interessi particolari. Sembra quasi che il dominio nel mondo capitalistico si regga ancora su rozze superstizioni o sul terrore dell’inquisizione. E infatti anche nelle metropoli la scienza batte contro il muro di uno scetticismo crescente, se non talvolta apertamente ostile. Esiste un ampio movimento globale, che affonda in miti e idee deliranti, i cui esponenti variano secondo il grado di militanza e l’ideologia concreta: da quelli che per passatempo negano i cambiamenti climatici ad Alternative für Deutschland, da Donald Trump ai talebani, da Boko Haram allo Stato Islamico. Ma questa panoramica della situazione non spiega nulla. Da dove viene questo odio profondo verso la scienza, che è sempre più forte anche nei centri del tardo sistema capitalista? I gruppi di pressione e i politici populisti che polemizzano con la scienza sulla questione del clima, per dire, riflettono un diffuso stato d’animo della popolazione. L’ostilità verso la scienza, il populismo e l’estremismo non crescono solo nella periferia “sottosviluppata” (come il mondo arabo), ma soprattutto in quei centri (soprattutto gli Stati Uniti) che da tanti anni subiscono un processo di razionalizzazione. Come fa la conoscenza scientifica, la razionalizzazione capitalista pressoché completa delle società metropolitane, a trasformarsi in irrazionalità proprio in questi momenti di crisi? La domanda non è nuova. Già in passato la Teoria Critica ha posto la questione a proposito delle conseguenze barbariche dell’ultima grande crisi del sistema capitalista negli anni trenta. Come potevano, proprio nel cuore dell’Europa “civile” e razionale, nella patria dell’illuminismo, come potevano trionfare la barbarie e il mito? La risposta alla questione, che oggi provoca un nuovo allarme di fronte all’attuale dinamica populista, punta al processo esplicativo illuminista in quanto tale. Adorno e Horkheimer, nella loro famosa Dialettica dell’illuminismo, notano come sia stato proprio il processo esplicativo unilaterale dell’illuminismo, cieco in relazione a se stesso, a trasformarsi in mito. Il mondo capitalista “profondamente illuminato” brillava sotto “l’insegna di una catastrofe trionfale”, anche se l’intento dell’illuminismo era di liberare gli esseri umani dalla paura e porli “sul trono”, come leggiamo nel classico della Teoria Critica pubblicato nel 1944. La condizione di impotenza e paura del tardo capitalismo, per cui il mito si rafforza ad ogni scoppio di crisi, è dovuta proprio alla razionalità strumentale, cieca e positivista, instaurata dal processo illuminista: Il matrimonio felice tra la conoscenza umana e la natura… è patriarcale: la conoscenza che ha sconfitto la superstizione deve imperare sulla squallida natura. Il sapere che è potere non conosce barriere, non ammette la riduzione in schiavitù delle creature, né è compiacente di fronte ai signori del mondo. Come è al servizio di tutti gli obiettivi dell’economia borghese nella fabbrica e nel campo di battaglia, così è a disposizione dell’imprenditore a prescindere dalle sue origini. Più che i monarchi, sono i commercianti a controllare direttamente la tecnica, che è tanto democratica quanto il sistema economico da cui trae sviluppo. La tecnica è l’essenza di tale sapere, che non cerca concetti o immagini, né il piacere che dà il sapere, ma il metodo, l’utilizzo del lavoro altrui, il capitale… Gli uomini vogliono imparare dalla natura come poterla impiegarla al fine di dominare totalmente la natura stessa e gli uomini. Altro non occorre. Senza alcuna considerazione nei riguardi di se stesso, il sapere illuminista eliminò, cauterizzandolo, quello che restava della propria autocoscienza. Solo quel pensiero che violenta se stesso è abbastanza duro da distruggere i miti. ~ Dialettica dell’illuminismo Il metodo scientifico prodotto dal pensiero illuminista è quindi vuoto, privato di tutti quei contenuti che stanno oltre l’oggetto dello studio. È metodo puro, strumento puro, cieco davanti ai fini perseguiti, ed è di ciò che lo scienziato, col suo concetto di obiettività scientifica, è tanto orgoglioso. La conoscenza, che intende essere solo un mezzo, diventa uno strumento di dominio su un mondo che si percepisce unicamente come oggetto. Questa cecità del metodo scientifico nei suoi stessi confronti è dunque implicita nel pensiero illuminista capitalisticamente deformato. Tutta la barbarie che ne segue è già presente qui. Dopo l’irruzione dell’illuminismo, gli obiettivi più irrazionali e malati possono essere perseguiti purché ci si serva di metodi razionali. Il culmine di questo processo è rappresentato dalla fabbrica dello sterminio operato scientificamente di Auschwitz. Il pensiero “vuoto” dell’illuminismo finalizzato al dominio, che è solo uno strumento, predica il positivismo estremo. Qui l’illuminismo diventa “totalitario”, per citare Adorno e Horkheimer. Sulla strada verso la scienza moderna, gli uomini hanno rinunciato al buonsenso per rimpiazzare il concetto con la formula, la causa con la regola e la probabilità… Da questo punto in poi, la materia deve essere dominata senza il ricorso illusorio a forze sovrane o immanenti, senza l’illusione di qualità occulte. Ciò che non si lascia sottomettere al criterio della calcolabilità e dell’utilità diventa sospettoso agli occhi del pensiero illuminista. ~ Dialettica dell’illuminismo Non c’è nulla che non possa essere misurato, che non possa essere contato: a questo tende il positivismo scientifico. Solo i fatti contano. In ultima istanza, il pensiero illuminista si scioglie in un culto assoluto e arido dei fatti e dei numeri, espressione della reificazione della tarda coscienza capitalista. Le recenti discussioni sull’espressione significativa “post-verità” riassumono per intera tutta la miseria del tardo positivismo capitalista, che minaccia di trasformarsi in pensiero mitico. Il positivismo è qui solo il risultato del movimento reale, e finalmente irrazionale, del movimento di riproduzione delle società capitaliste, del fine in sé dell’accumulazione illimitata di capitale, ovvero di valore astratto, in quantità crescenti. La vicinanza tra positivismo illuminista e ideologia è chiara. Torniamo alla Dialettica dell’illuminismo: La società borghese è dominata dall’equivalenza. Questa fa sì che l’eterogeneo sia comparabile, riducibile a grandezze astratte. Agli occhi del pensiero illuminista, ciò che non può essere ridotto ad un’espressione numerica, e infine all’uno, è un’illusione: il positivismo moderno lo rimanda alla letteratura. ~ Dialettica dell’illuminismo L’apparente varietà delle società capitaliste è ingannevole: tutto il capitalismo è merce, e ogni merce ha importanza solo in quanto portatrice di valore astratto che deve essere accumulato. Solo il valore merita il riconoscimento nella sfera del capitale; pertanto in tempi di crisi prevale la tendenza ad omogeneizzare tutta la società al fine di adeguarla all’astrazione del valore della crisi (da qui l’omogeneità di razza, nazione, religione e così via). L’illuminismo (il sapere-potere che non conosce barriere e non è “compiacente di fronte ai signori del mondo”) ha fatto irruzione nella storia grazie alla collaborazione con il dominio assolutista, mentre il mondo feudale era in piena dissoluzione e il capitalismo faceva i primi passi. Questi sovrani assoluti “illuminati” del diciottesimo secolo, questi trafficanti di schiavi del tardo feudalesimo, che cercavano di spremere i propri sudditi con tecniche sempre più efficienti, riconoscevano i benefici di un dominio illuminato e “razionale” che offriva loro vantaggi competitivi in un’Europa eternamente in guerra. A partire dall’assolutismo, il potere si amplia sempre più sulla base della ragione strumentale, perfezionando lo sfruttamento e il controllo del materiale umano. Questo processo giunge in un certo senso al suo fine logico nell’era della restrizione oggettiva. Il dominio è pertanto ciò che attende i prigionieri, degradati ad oggetti, del capitalismo con la maschera della ragione strumentale. Ma anche questa degradazione contiene una sorta di metodo scientifico oggettivo, come notano Adorno e Horkheimer: Come il pensiero illuminato si comporta con le cose così il dittatore si comporta con gli uomini. Li riconosce solo nella misura in cui può manipolarli. Mentre l’uomo di scienza riconosce le cose nella misura in cui può farle. È così che il suo in-sé torna a lui. In questa metamorfosi, l’essenza delle cose si rivela come sempre uguale, come il substrato del dominio. ~ Dialettica dell’illuminismo Perché nel capitalismo ritroviamo la natura del dominio? Non ci sono più sovrani assoluti che con le loro macchine militari, con la loro fame insaziabile di denaro, diedero la spinta iniziale al dispiegarsi del capitalismo. Nel capitalismo prevale la relazione di capitale in quanto astrazione sociale reale, così che nel tardo capitalismo il dominio non ha soggetto. Ciò che prevale nel capitale è una dinamica sociale globale generata inconsciamente dai soggetti del mercato, che li fronteggia sotto le apparenze di un potere estraneo, quasi “naturale” e accecato dalla rabbia. Denaro che anela a diventare più denaro: questo processo contraddittorio di accumulazione illimitata di valori monetari astratti sta distruggendo il concretissimo mondo. E tutto accade con una precisione scientifica. La rete del dominio, mediata e senza soggetto, che nel tardo capitalismo si stringe sempre più, è stata tessuta con l’aiuto del metodo scientifico, non contro di esso. Il fine in sé irrazionale di un’accumulazione di capitale illimitata e impazzita viene perfezionato dalla scienza cieca dell’illuminismo. La ragione illuminista diventa strumento di dominio. Appare quindi chiaro cosa stia scatenando questo risentimento tardo capitalista contro la scienza. È una ribellione reazionaria e opportunista contro gli strumenti scientifici del dominio capitalista, dato che la critica del fine in sé irrazionale non è permessa. È proprio il capitale che non può più essere posto in questione. È ormai da tanto che la relazione di capitale si è sedimentata ideologicamente come “ordine naturale”, di cui l’illuminismo ha sostenuto l’imposizione, mentre le sue contraddizioni vengono verosimilmente esternalizzate o personificate. Questo avviene principalmente con la ricerca di capri espiatori. L’odio di tanti simpatizzanti di Trump contro l’attività scientifica non è attizzato soltanto dalle ovvie lobby economiche, come quelle che negano i cambiamenti climatici. Viene anche da certe esperienze quotidiane che non si riesce a capire, quando per esempio le innovazioni scientifiche distruggono posti di lavoro. L’assurdità di una forma sociale anacronistica, per cui una crescente efficienza conduce ad una crescente miseria, non viene vista dai seguaci populisti di Trump. Prende corpo invece una sorta di post-modernità mentale da distruttori di macchine, in cui l’odio verso la scienza fa il paio con il desiderio reazionario di reindustrializzazione, di ritorno alla buona e vecchia società industriale. L’odio verso la scienza è, in ultima istanza, l’odio verso le conseguenze di un progresso scientifico deformato dal capitalismo, che trasforma l’essere umano in una semplice appendice di un processo di riproduzione capitalista autonomo, contraddittorio e irrazionale. Quanto più la rivoluzione scientifica spinge il processo di razionalizzazione capitalista, tanto più l’essere umano si annulla nella sfera economica. È proprio dalla crescente eliminazione della forza lavoro dalla sfera della produzione delle merci che nasce il carattere contraddittorio del progresso scientifico nel capitalismo: da un lato, come potenziale dell’emancipazione post-capitalista e, dall’altro, come destino concreto del tardo capitalismo, che si manifesta con la deindustrializzazione di intere regioni degli Stati Uniti. Un’attività scientifica mutilata dal capitalismo, incapace di riflettere criticamente sulla propria posizione nel processo di riproduzione capitalista, contribuisce all’emersione di queste forze irrazionali contro la scienza in quanto tale. Ma finché non si cerca l’evasione dalla gabbia concettuale capitalista, qualunque innovazione scientifica in un’industria può solo generare la paura di perdere il posto di lavoro. In questo risentimento verso la scienza, diffuso in particolare tra i seguaci di movimenti populisti come quello di Trump, si esprime in ultima istanza il presentimento incosciente della propria inutilità nel tardo capitalismo.